Startup pitch: 15 consigli per una buona presentazione

Partecipare agli eventi dedicati alle startup è una fonte di ispirazione, ogni volta me ne torno a casa arricchito di utili consigli e insegnamenti.

Da spettatore è più facile notare le cose che potrebbero essere migliorate in una presentazione, motivo per cui presto sempre molta attenzione agli startup pitch a cui assisto. Dagli appunti degli ultimi eventi ho ricavato 15 consigli che potrebbero tornare utili in futuro:

1. Imparare a fare slide accattivanti, coerenti (design parlando), che siano un plus alla presentazione, non un elemento di confusione. Nota: slide accattivante non significa slide piena zeppa di contenuti-colori-foto-animazioni;

2. Allenarsi nel public speaking, bisogna coinvolgere, trasmettere positività. Se non lo avete capito, state vendendo, siete dei venditori di idee;

3. Riadattare le slide all’evento a cui si parteciperà;

4. Inserire i contatti sulle slide può essere un’idea, username Twitter in particolare, magari anche l’hashtag dell’evento;

5. Non lamentarsi di slide che non sono come volevamo a causa di conversioni errate windows-mac o viceversa. I video non partono? Potevate provarli prima, non iniziate a lamentarvi con il vostro pubblico.

6. Le startup che propongono app per la segnalazione di eventi andrebbero vietate (ok, questo è un off-topic);

7. Allenarsi a esporre, allenarsi a esporre, allenarsi a esporre. Filmarsi, farsi ascoltare dai genitori, dagli amici, dai nonni, dal barista di fiducia, farlo davanti allo specchio. Insomma, allenatevi a esporre!

8. Poche parole, chiare, semplici dirette, bando alle argomentazioni troppo lunghe e complicate;

9. Per il design della presentazione, farsi aiutare da un amico grafico può essere una buona idea. (da un vero grafico);

10. State facendo una presentazione, vendendo idee, non state recitando;

11. Se volete utilizzare l’impattante frase “vogliamo cambiare il mondo“, fatelo solo se ci credete veramente davvero, non è una frase da buttare li a caso. E ditelo con un tono di voce che rispecchi il valore e l’importanza di quelle parole;

12. Non c’è tempo per i ringraziamenti finali, se vi avanza del tempo per farli, uhm…  forse c’è qualcosa che non quadra, avete dimenticato qualcosa di importante da dire?

13. Nota per gli organizzatori di eventi: Meno buffet, memo cartelline, e più wifi libero. (altro off-topic);

14. Sicurezza nel presentare (vedere punto 7). È importante perché innesca un circolo virtuoso. Se non siete sicuri di voi stessi il pubblico lo percepisce, e salvo idee incredibili, si rischia di perdere credibilità…

15. Timing: se sono previsti 3 minuti, DEVONO essere 3 minuti;

Sono ben accetti altri consigli da aggiungere a questa lista 🙂

startup speech

Come chiamo la mia startup? 21 consigli per un buon naming

Dopo settimane passate a lavorare sul naming (processo di scelta di un nome) del progetto, mi sento di dare questi 21 consigli; sono anche frutto di un libro sul tema che lessi qualche anno fa (Il nome della marca), di alcune esperienze passate e di una moltitudine di articoli trovati approfondendo su internet tra vari blog e riviste.

  1. Non innamorarsi di un nome prima di aver registrato il relativo dominio internet, WHO IS sempre a portata di click per controllare. Controllare che sia disponibile anche nei social network in cui volete essere presenti, NameChk vi tornerà utile per fare un check in un click;
  2. per scegliere il nome giusto bisogna andare in profondità e spenderci del tempo;
  3. il nome deve essere registrabile;
  4. fare un elenco di nomi di marca noti che vi piacciono;
  5. non è un lavoro da fare da soli, coinvolgere amici, parenti, colleghi;
  6. avere ben chiari i valori del proprio marchio, il tono di voce che volete dargli, la usp (unique selling proposition) e il proprio target di riferimento, ripreto: TARGET DI RIFERIMENTO;
  7. tornando sul tono di voce, ci sono nomi più informali o brevi che richiamano l’immagine di una stratup giovane e innovativa (ultimamente quelli che terminano il -ify -gram -ly), altri più composti e seriosi che danno l’idea di seriosità e formalità. Per approfondimenti, leggere questo breve paper di Interbrand;
  8. quanto budget avrete per promuovere il vostro brand? Un nome di fantasia necessita del dovuto budget per essere ben promosso;
  9. non sdegnare i nomi descrittivi, all’apparenza possono sembrare noiosi o banali, ma con la giusta creatività e il giusto marketing, potrete trasmettergli un tono e una certa personalità;
  10. il nome perfetto non esiste, e se esiste… è già registrato; 🙂
  11. inutile scegliere il nome strafigo in inglese se poi il vostro target nemmeno riesce a pronunciarlo; un altro appunto: la regola “deve capirlo anche vostra nonna” è fuorviante e va presa con le pinze; il nome deve essere capibile da tutte quelle persone che secondo voi entreranno a far parte del vostro target, se vostra nonna non capisce il nome ma non è nel vostro target, non è un problema. Dovete prendere a riferimento l’individuo più tardo del vostro segmento d’interesse; 
  12. i trattini “-” possono essere un problema nel momento in cui dettarlo via telefono o di persona diventa una cosa stressante;
  13. per aiutarsi nel processo creativo: utilizzare le mappe mentali, i siti generatori di nomi (es. Panabee.com) , Google translator, Google trend, Facebook stories, cercare tutte le parole chiavi su Urban dictionary (un calderone di spunti creativi originali), leggere l’etimologia di ogni parola, sfogliare l’enciclopedia, l’atlante, leggere la storia di ogni parola chiave su wikipedia;
  14. seguire il proprio istinto, il nome giusto deve gasare prima di tutto voi stessi;
  15. trovato il nome avete risolto il 50% del lavoro (opinione molto personale); 🙂
  16. scrivere su carta o su un file digitale tutto quello che viene in mente, anche le schifezze, a qualsiasi ora del giorno, ovunque ci si trova;
  17. il nome deve essere breve, originale, gradevole memorabile, orecchiabile e facilmente ricordabile. Però non è da escludere un nome di media lunghezza, se è sufficientemente memorabile e memorizzabile. Bisogna poi giocarsela con l’immagine di marca che si vuole e si andrà costruire. Tenete presente che un nome lungo probabilmente finirà per essere abbreviato e diventare un acronimo, non è il massimo, ibm, bmq e co. bastano. Anche sull’originalità è tutto relativo, un nome banale con la giusta personalità di marca può diventare originale e assumere nuovi significati per il proprio pubblico di riferimento. (es. booking). La morale è che c’è più di un modo per rendere il proprio brand distinguibile, indipendentemente dal nome scelto;
  18. pensare al nome in modo strategico, in un’ottica di lungo periodo;
  19. il nome andrà utilizzato solo in Italia o anche all’estero? In questo caso bisognerebbe fare una ricerca paese per paese, per assicurarsi che il nome scelto sia pronunciabile facilmente e non porti con se significati ambigui non desiderati;
  20. il nome rimane coerente anche in caso di brand extension? pensate ai possibili sviluppi orizzontali del business in cui andrete a inserirvi. Creare nuovi nomi da affermare è faticoso e dispendioso;
  21. dicono che un nome sbagliato richieda 8-10 volte più investimenti per affermarsi (Fonte: Smarketing);

Una volta trovati una serie di nomi che potrebbero andare bene, consiglio di valutarli schematicamente utilizzando questa scheda lavoro in formato excel creata da Valentina Falcinelli dell’agenzia Pennamontata.com (che consiglio di seguire)

Se avete altri consigli da aggiungere, sono ben accetti. 🙂

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naming 21 consigli

Quello che volevo fare Vs Quello che ho fatto

Non critico le iniziative imprenditoriali che ripropongono qualcosa di già esistente sul mercato, a patto che lo facciano innovando quel che c’è già. User experience, design, tecnologia ecc. qualcosa di veramente innovativo rispetto ai concorrenti va pensato. E va concretizzato. Le migliorie devono essere ben chiare nella propria testa, ma non basta, devono essere percepibili e visibili (e capibili) agli occhi del consumatori, a cui spetta l’ultimo e insindacabile giudizio.

Altrimenti si finisce per proporre l’ennesima porcheria che va ad affollare un mercato (magari già saturo) senza contribuire in nessun modo ad innovarlo, anzi, finendo per renderlo ancora più confuso, piatto e inefficiente.

Personalmente, mi rendo conto che spesso il passaggio dal prototipo che ho “in testa” alla sua realizzazione fisica porta con se degli scostamenti – quello che volevo fare vs quello che ho fatto – che mi recano delusioni e senso di inettitudine. Per risolvere la questione, nella pratica cerco di focalizzarmi e formalizzare quegli aspetti su cui posso andare a lavorare per diminuire il gap ideale-reale, iniziando con il chiedermi se questo gap sia effettivamente percepito dal consumatore  e sia per lui rilevante (qui tornano utili le chiacchierate con amici, colleghi e famigliari). La domanda successiva è: questo gap quanto può influire sul giudizio complessivo della mia offerta di valore?

Dopodiché le alternative che valuto sono le seguenti:

  1. lasciare il gap e tirare dritto continuando nella realizzazione del progetto (se non è ritenuto rilevante dal vostro target);
  2. investire in formazione personale per cercare di colmarlo autonomamente (vai di google);
  3. rivolgermi ad un amico o conoscente con le competenze per ridurre il gap;
  4. rivolgermi ad un professionista (se ho budget e se l’oggetto in questione è di rilevanza cruciale);

Avete altre alternative da proporre in questi casi? Consigli da aggiungere?

ideazione prototipo

3, 2, 1, ciak si gira! Ma perchè?

A due anni dall’apertura di Weekly Marketing Quote ho deciso di lanciare questo nuovo blog e di mantenere WMQ focalizzato sulle citazioni di marketing, sugli eventi e sui libri letti; sentivo il bisogno di un taccuino pubblico dove condividere pensieri, considerazioni, errori e lezioni apprese attraverso le mie esperienze; un luogo che possa dare spunti e tornare utile a chiunque si trovi di fronte a questioni e dubbi simili ai miei.

Accenno brevemente al nome di questo blog. Sotto alcuni punti di vista, lo critico io stesso, questa moda delle startup un po’ mi fa storcere il naso, ho l’impressione che ci siano più eventi/iniziative/guru/incubatori che startup stesse, e troppi personaggi che si spacciano per esperti senza essersi mai sporcati le mani sul campo. Però a questa moda riconosco il merito di aver portato sotto i riflettori dell’opinione pubblica alcuni temi rilevanti per il futuro del nostro paese. Quindi, se il prezzo da pagare deve essere sentire tanta gente che si riempie la bocca di parole di cui non conosce il significato, ben venga. (magari un giorno si potrebbe parlare del significato di Startup)

Ho scelto Startup di Laurea perché mi è venuto in mentre sotto la doccia, suona bene, fa figo, è hype (studiamo marketing o no?), e riassume perfettamente l’ideale di istruzione universitaria che da anni vado sognando: una università che dia l’opportunità di scegliere se terminare con una tesi di laurea tradizionale oppure con il lancio di una iniziativa imprenditoriale. Ma di questo ne possiamo discutere in altra sede…

Mi chiedo se che quello che sto costruendo (ne parlerò più avanti) sia un progetto imprenditoriale, una startup. Probabilmente no, il tutto è molto più vicino al concetto di gioco/esperimento piuttosto che al concetto di impresa, o almeno così mi piace vederla.

La tesi di laurea tradizionale la sto facendo, ci sto lavorando in questi mesi, è un ambizioso progetto che ho deciso di intraprendere per approfondire alcune temi legati al marketing online a supporto della ristorazione. La scelta dell’argomento è stato uno dei momenti più difficili del mio percorso universitario: avendo una miriade di argomenti che vorrei approfondire – esempio: storytelling, event marketing, social media ROI, big data – e vedendo la tesi di laurea come IL momento per farlo, dovermi focalizzare su un tema specifico escludendo tutti gli altri mi ha messo a dura prova. In tutto questo, tra le 100 idee-cazzate che ogni tanto butto giù su Evernote, ne ho avuta una che mi ha convinto particolarmente e che ben si sposa con il mio lavoro di tesista; diciamo che ho trovato un’occasione per sperimentare sul campo alcune teorie, strategie e tecniche felicemente studiate in questi anni da universitaro. (su Anobii tengo la lista dei libri letti)

Tesi + Progetto sul campo: ho le capacità per farlo? Lo scoprirò nel modo che preferisco, passando all’azione. 🙂

In realtà mi sono dato anche un’altra risposta:

Caspita, sono laureato in marketing e gestione delle imprese, sto per laurearmi in marketing e comunicazione, faccio parte di un club di studenti appassionati di marketing, qui la domanda non è: “ho le capacità?”, ma: “che fai ancora con le mani in mano, perché non ti metti in gioco con i fatti?”.

Ok, torno a combinare qualcosa. Potete ricevere gli aggiornamenti del blog via e-mail, basta registrasi sulla side-bar di questa pagina.

libri letti